La forza di Sabrina
Sabrina
34 anni
Romania
Sabrina, rumena, ha 34 anni. Nasce e cresce in una baraccopoli nell’estrema periferia della città di Craiova, tre ore di macchina da Bucarest. Tantissime famiglie rom, come quella di Sabrina, vivono lì. Abbandonata dal padre in tenera età viene allevata dalla madre, in grande povertà. Sabrina riesce ad andare a scuola ma deve abbandonarla presto, perché la mamma si ammala gravemente e ora è lei a dover provvedere ad entrambe. Preoccupata per la sua sorte, la madre, ormai prossima alla fine, le fa promettere di sposarsi, e lei accetta. Dopo il matrimonio, il marito parte per la Francia. Invano, Sabrina attende di poterlo raggiungere. Verrà a sapere che egli era già sposato e aveva diversi figli; decide così di lasciarlo.
In Romania la vita è molto dura, e Sabrina è sola. Quando può, lavora in campagna come bracciante. È qui che conosce Daniel, in cerca di moglie. Lei non è innamorata, ma alla fine accetta di sposarlo. È forte il desiderio di avere una famiglia sua e pensa che, con un uomo al suo fianco, le cose per lei possano migliorare.
Hanno tre figli: George, Alina e Andrei. Sabrina si rende conto di quanto è infelice con Daniel. Nella sua cultura le donne devono fare le faccende domestiche e pensare a tutto, in casa. Le cose non vanno bene, non c’è lavoro, e lei sente il peso di come sfamare i tre figli solo sulle sue spalle. Non è facile farli crescere in una baracca, composta, come racconta, da una stanza sola. Alla domanda “il bagno lo avevate?” lei sorride, con ironia, e risponde “Sì, all’aperto!”. Per scaldarsi e cucinare hanno la stufa a legna e nel corso degli anni arriva anche la corrente elettrica per la luce.
Spinta dall’amore per i figli, ad un certo punto decide di recarsi, sola, in Spagna, per accettare un lavoro che un’amica le aveva procurato. Rimarrà là circa otto mesi, sentendo i suoi bambini solo per telefono. Tornata in Romania, partono nuovamente per la Germania, questa volta tutti insieme, dove vivono per un breve periodo e poi si spostano in Grecia, per un anno e mezzo. Lì, lei e il marito lavorano nei campi, ma è molto dura e la paga, quando arriva, è davvero bassa. Sabrina però, con un mezzo sorriso, dice che, almeno, il padrone dava loro da mangiare.
Successivamente, decidono di venire In Italia, perché a Craiova non sanno davvero più come fare per mangiare, e sono disperati. Daniel ha un fratello che abita ad Ancona; abbandona la famiglia a Bologna e prosegue il viaggio verso sud, per provare a trovare lavoro.
A Bologna Sabrina non conosce nessuno e non ha un soldo in tasca; è di nuovo sola. Per alcuni giorni vive in strada, con i bambini, chiedendo l’elemosina. Incontra una signora rumena, che decide di aiutarla e la mette in contatto con gli assistenti sociali, i quali trovano un posto dove farli dormire. Dopo alcune settimane, le propongono di aderire al progetto del Rimpatrio Volontario Assistito. Attivo in Italia dal 1990 e gestito dal Ministero dell’Interno, esso ha l’obiettivo di supportare i migranti che, per vari motivi, decidono volontariamente o accettano di rientrare nei paesi di origine. A partire dal 2014, esso è stato inserito nei progetti co-finanziati dall’Unione Europea tramite i fondi FAMI (Fondi Asilo Migrazione e Integrazione) e si è rivolto anche a migranti in condizione di irregolarità e di situazione di fragilità economica e sociale. Col beneficiario, viene concordato un Piano Individuale di Reintegrazione, che comprende supporto prima della partenza, assistenza logistica e finanziaria al viaggio; una volta giunto in patria, il migrante è affiancato per alcuni mesi in un percorso finalizzato al reinserimento sociale ed economico. Solo nel 2019, i migranti rientrati a casa grazie a questo progetto sono stati 1.080.
Sabrina però, non è tra questi. Ha scelto di restare qui. Sapeva che, forse, a casa, avrebbe potuto riprendere le fila di una vecchia vita. Quando racconta del suo passato, i ricordi paiono molto nitidi nella sua mente e, allo stesso tempo, sembrano riguardare una vita ormai lontana, a cui sente di non appartenere più.
Lei conosce bene le sue origini e non le rinnega, anzi, ma ha scelto di intraprendere strade nuove. Madre e moglie nella sua terra, tra la sua gente, oggi Sabrina vuole innanzitutto riscoprirsi come donna. Ciò che è stata, infatti, non le basta più.
Qui non è facile. Per lei, rom, zingara, sono tanti i pregiudizi, le discriminazioni. E poi, ambientarsi è dura. Tutto è diverso dalla sua Craiova. Proviene da un contesto difficile, dove è abituata a dover lottare quotidianamente per sopravvivere e “saltarci fuori”.
Quando arriva presso la struttura, chiede, tra le prime cose, di poter avere la chiave della stanza da letto, per tenerla chiusa. “Non mi fido”, ripete. Forse, in Romania non si sentiva sicura nemmeno in casa sua.
Qui Sabrina è sola. Il marito è lontano; lo sente, dice per il bene dei suoi figli, ma lui, nel frattempo, ha avuto un figlio da un’altra donna. È serena quando ne parla, ma è già il secondo uomo che la delude.
Ora, Sabrina intende trovare da sola la sua strada, anche se ciò non includerà necessariamente un uomo al suo fianco, per lei e i suoi bambini. Sa che a casa né lei né i suoi figli avrebbero il futuro che lei spera. Desidera trovare un lavoro e che loro studino. In Romania non ha mai potuto mandare a scuola né Alina né Andrei. Solo il grande, George, è andato, ma solo per un anno e mezzo.
L’assistente sociale ha deciso di aiutarla, cercando una struttura che possa ospitarla. Da circa sei mesi sono stati accolti a “Casa Di Milo”, a Bologna, dove oggi abitano insieme ad un’altra mamma tunisina e a sua figlia. Ogni giorno viene a casa una delle educatrici della struttura, per aiutarli. I suoi figli vanno a scuola e sono molto contenti. Lei sta frequentando due corsi di italiano perché vuole trovare presto un lavoro e sa che, se non parla bene la lingua, nessuno la prenderà. Fa fatica, ma le operatrici della struttura le dicono che sta migliorando in fretta.
Nel resto del tempo Sabrina segue la casa e fa da mangiare. È dura avere cura di tre bambini quando, lei per prima, sta cercando di trovare un nuovo equilibrio. A volte si scoraggia, perde la pazienza con loro, si arrabbia. Dai suoi sfoghi si capisce che pensa di non valere niente come mamma. “Non so come farmi ascoltare”, dice, “capiscono solo se li picchio”. E allora le operatrici la rassicurano, le dicono che lei è una donna forte, battagliera, determinata, che se vuole, può fare tutto.
A quel punto, sorride e forse un po’ si risolleva. Pensa a quanta strada ha già percorso, e che le cose stanno migliorando, anche se lentamente. Ha tanti sogni e desideri, ma per ora le cose più importanti per lei sono poter lavorare e mandare i suoi figli a scuola così, in futuro, potranno fare un bel lavoro e avere una loro famiglia. Un giorno le piacerebbe tanto avere una casa loro, dove forse in futuro anche Daniel potrà andare a vivere se decideranno, nonostante tutto, di tornare insieme.