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Il coraggio di Noor

noor

Noor
33 anni
Tunisia

È arrivata nella nostra struttura con appena due valigie, troppo piccole per credere che possano contenere i ricordi della vita sua e della figlia, Najla, 9 anni.
La loro storia inizia in Tunisia.
Noor nasce in una famiglia numerosa, è la terza di sei figli. I genitori sono contadini e si occupano di coltivare la terra e allevare il bestiame. Il salario non è alto e la vita inizia perciò tra molti sacrifici. Vivono in un paesino di campagna, una zona rurale e povera, come la casa della sua infanzia. Frequenta la scuola del paese e consegue così la licenza elementare. Noor paragona la sua infanzia a quella di tante altre, in una famiglia apparentemente normale, nonostante il padre molto severo. A quei tempi, non sapeva che, diversi anni dopo, non avrebbe avuto più una famiglia a cui poter tornare. Descrive la madre come una donna affidabile, con cui mantiene un buon rapporto tutt’ora. Del padre, invece, non vuole più sentir parlare. È stato un uomo crudele e violento, soprattutto nel momento in cui Noor ha avuto più bisogno di lui.
L’infanzia finirà molto presto.
A 16 anni e mezzo viene data in sposa. Noor è contraria, ma questo non è rilevante per il padre.
Si celebrano le nozze e l’inferno comincia dentro le nuove mura domestiche: da qui in avanti saranno anni dolorosi per la donna, caratterizzati da soprusi, umiliazioni, violenze e così tanta sofferenza che il cuore sembrerà svuotarsi di ogni emozione per non sentire più dolore.
“Mi trattava da serva”.
È con queste parole che Noor inizia il suo racconto del dramma della vita coniugale. Era costretta a ritmi di vita disumani: ogni mattina doveva alzarsi alle 5, preparare la colazione, lavorare la terra, allevare gli animali, preparare il pranzo, la cena e svolgere le faccende domestiche. Qualora si fosse rifiutata o non svolgesse i compiti impartiti dal marito, veniva percossa, maltrattata, umiliata. Ad oggi, sul corpo non sono rimasti segni visibili delle violenze, ma nei ricordi, il volto di quell’uomo è lì e resterà come una traccia indelebile, come un demone da combattere, giorno dopo giorno.
Poco tempo dopo le nozze, in un disperato tentativo di fuga, Noor scappa dalla casa coniugale e si rifugia dai suoi genitori; racconta le atrocità del marito, la segregazione, le ingiurie, i maltrattamenti, la sua disperazione e supplica la famiglia di aiutarla, di riprenderla con loro per sottrarla alle braccia di quell’uomo che non vuole chiamare marito. Il padre però, come nel peggiore degli incubi, la percuote ripetutamente con inaudita violenza e la riporta al carceriere dal quale era fuggita.
La speranza era diventata un lusso che non sa più se potersi concedere ma stringe i denti e si sforza di pensare ad un futuro lontano da tutti quei demoni, finalmente libera.
Dopo qualche anno di matrimonio, Noor rimane incinta: è una bambina. Il marito non accetterà mai questa nascita, odierà la figlia così come ha odiato sua moglie. Non riconoscerà mai la piccola Najla, ma le farà conoscere l’odio anziché l’amore, le violenze al posto dell’affetto.
Noor vuole il divorzio, non è più disposta a sopportare oltre. La sua famiglia però, come già dimostrato dal padre, non è disposta ad accettare una simile scelta. Non è disposta a vederla indipendente. Non è disposta a pensare che lei, semplice donna, possa permettersi il lusso di scegliere in autonomia il proprio destino. Sulle sue spalle cala anche il disprezzo di tutti i suoi parenti, o quasi. La mamma e una sorella non l’hanno mai abbandonata, la sostengono e si preoccupano per lei. Di tutta la famiglia, Noor serba per loro un affetto profondo.
Noor non si arrende e comprese che, se voleva cambiare la sua vita, non bastava il divorzio, doveva fuggire in un luogo in cui quell’uomo non potesse trovarla e, quando Najla avrà circa 4 anni, Noor prende sua figlia e scappano in un‘altra città: Monastir.
È un nuovo inizio. Trova un piccolo monolocale, si arrangia facendo le pulizie da alcune signore e, grazie ad alcuni conoscenti, riesce a giostrarsi tra la cura della figlia ed il lavoro.
Il sogno di un nuovo mondo si fa più vivo, ora che sta dimostrando a se stessa di potercela fare, con le proprie forze, a combattere quel destino così avverso. Vuole fare di tutto per raggiungere la meta dei suoi desideri, l’Europa.
Il sogno diventa sempre più concreto con l’incontro di una coppia di signori molto benestanti per i quali lavorava. Si conoscono meglio e intrecciano le ore di lavoro con i racconti delle storie di vita personali e, pian piano, il legame di fiducia si consolida. La proprietaria di casa racconta a Noor che il marito è in fin di vita e, se non trovano al più presto un donatore di rene compatibile, l’uomo morirà. La disperazione di entrambe porterà ad una svolta. La signora chiede a Noor di fare gli accertamenti sulla compatibilità dell’organo ed in caso di esito positivo, di donarlo al marito. In cambio, avrebbero esaudito qualunque suo desiderio. Noor non ha tempo per avere paura: quella può essere l’occasione che stava aspettando da tempo, la soluzione ai suoi problemi. Acconsente.
Gli esami danno esito positivo.
Noor procede alla donazione in una delle eccellenze ospedaliere tunisine e la donazione va a buon fine, per entrambi.
Noor racconta che per i mesi successivi all’intervento questa coppia si prodiga al mantenimento suo e di Najla, oltre che al sostegno di tutte le spese ed utenze.
Sei mesi dopo l’intervento, quando Noor chiede aiuto alla coppia per partire, loro accettano. Organizzeranno tutto, il quando, come e dove avverrà il viaggio, procurando a Noor due biglietti di sola andata per sé e la figlia: direzione Ragusa.
La mattina del 25 ottobre 2017 arriva una chiamata: la data di partenza è fissata per la sera del giorno stesso.
Raggiungono il punto di imbarco a piedi (era vicino casa) e mentre Najla pensa che si stiano recando a trovare la zia, salgono a bordo di questa nave della speranza, o meglio della disperazione. Noor stringe la bimba a sé e la nasconde sotto la giaccia. Lì ci rimarrà tutto il viaggio. Passano tutta la notte fermi, allontanandosi poco alla volta dalla costa, in totale silenzio ed apprensione. Con le prime luci dell’alba il barcone inizia il viaggio. Gli altri passeggeri, cinquantacinque, sono tutti uomini e la trattano con gentilezza ma questo non basta a proteggerla dal terrore che starà per vivere. Appena arrivati a largo lo scafista estrae un coltello e minaccia i passeggeri che, qualora il barcone avrebbe rischiato di non farcela ad affrontare la traversata, o qualcuno si sarebbe sacrificato volontariamente o lo avrebbe buttato giù in acqua lui stesso. La paura scorreva nelle vene di Noor e poteva leggerla anche negli occhi di tutti i suoi compagni; pregare era l’unica cosa che le era rimasto. Dopo 2 interminabili giorni di viaggio attraccano a Ragusa, tutti sani e salvi ma esausti.
Dei 57 naviganti, solo Noor e la figlia non sono state rimandate nel paese di origine. Gli altri 55 uomini che, come lei hanno affidato la loro vita al mare, sono stati tutti rimpatriati nel giro di qualche giorno.
Per le due donne, ora, comincia una nuova avventura: Najla inizia la scuola e Noor ottiene i documenti; dopo un primo periodo in un centro di prima accoglienza a Ragusa, giungono a Parma in un punto alloggio, per poi arrivare da noi, una struttura di accoglienza per mamme con bambini, a Bologna.
Ad oggi, la bambina frequenta con entusiasmo la seconda classe della scuola elementare. Da grande non sa ancora cosa vorrebbe fare. Noor invece, cammina a testa alta e mentre racconta la sua storia, non piange, ha lo sguardo di chi è stanco di soffrire ed ha voglia di voltare le pagine più cupe per scoprire le possibilità che questa vita ha da offrirle. Grazie al nostro aiuto, sta tracciando la strada che la condurrà ad una vita autonoma, libera ed indipendente: sta studiando l’italiano e non vede l’ora di cominciare un nuovo lavoro, per dimostrare a sé ed alla figlia che il loro futuro è qui, in Italia, e sarà radioso.

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